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Vincent O’Brien storia e cultura del turf moderno; Mario Berardelli parla del mago di Tipperary, precursore dell'ippica globale

Per concessione di Per Sport riproponiamo un saggio di Mario Berardelli uscito qualche giorno fa sul cartaceo, che torna sulle tematiche del St Leger appena disputato. Dunque, partendo dalla sconfitta di Camelot (che non è Nijninsky) sviluppa una riflessione ad ampio respiro (che deve alimentare la discussione) su quello che ha rappresentato il vecchio Vincent O'Brien per l'ippica Europea e globale, e sul significato profondo delle nostre radici della cultura ippica. Buona lettura!
Da lassù il vecchio Vincent si sarà certamente goduto la scena e forse ci avrà anche messo del suo. Le incredibili coincidenze della storia hanno fatto anche si che  proprio nel pomeriggio in cui in Irlanda (tra l’altro forse scoprendo il leader della generazione europea dei due anni, Dawn Approach ndr) veniva appunto celebrato lui, ovvero Vincent O’Brien con le vecchie National che ora gli sono intitolate, proprio in quel momento, anzi un’ora buona prima a Doncaster la Storia del Turf  rimetteva indietro gli orologi di 40 anni. L’ultimo trainer a imprimere il proprio nome sulla unica triplice corona  rimasta degna con quella americana di cognome fa O’Brien ma non è Aidan (solo omonimo come tutti dovrebbero ormai sapere) ma ancora lui il Maestro di Tipperary, il genio di Nijinsky e non solo che, ironia del destino, ha come lasciato in eredità al giovane nuovo Maestro (a scanso di equivoci Aidan è un grandissimo e non ha ancora finito di stupire) proprietari, utilizzo del centro di allenamento, partecipazione attiva in quello che nel tempo è diventato il polo di riferimento a tutto campo del turf mondiale. Insomma proprio come se fosse stato il figlio. Chissà, forse  nel negare a Camelot il terzo anello potremmo anche intravedere un disegno della provvidenza o di qualcosa di superiore. In fondo adesso a cose fatte  forse possiamo anche renderci conto che Camelot non è Nijinsky e una nuova triplice corona avrebbe saputo un po' di profanazione. Anzi forse a pensar male si farà anche peccato ma ci si può anche indovinare e come ha buttato li Franco Raimondi sta a vedere che forse lo stesso team si è reso conto di certi limiti del cavallo e forse la triplice corona a quel punto era diventata l’unico traguardo plausibile: si vince e si mette via in razza a prezzo da sballo. Insinuazioni per carità. In queste brevi note tuttavia noi vogliamo celebrare e magari spingervi ad un attimo di riflessione proprio Vincent e ciò che ha rappresentato per il turf. Tutto ciò che è accaduto in fondo ce ne offre il destro. Le nostre radici culturali non devono mai essere recise: è ciò che colpevolmente è accaduto in Italia con le conseguenze nefaste che sono sotto gli occhi di tutti, vi piaccia o no noi siamo ridotti cosi proprio perché abbiamo buttato alle ortiche una tradizione di cultura che sarebbe stata preziosa guida  per evitare i tragici errori compiuti per incapacità pura non disgiunta da altro. Vincent O’Brien è la cultura del turf moderno. Innanzitutto è uomo di cavalli nella accezione più completa, universale del termine. E’ uno che ha vinto per tre volte il National, se sei stato un Maestro nella difficile arte di allenare cavalli da ostacoli  hai il retroterra per essere tutto e Vincent è stato tutto per l’ippica mondiale.
Attenti bene: O’Brien è stato il primo vero grande allenatore, diciamo ippico a tutto tondo, mercuriano della storia moderna del turf (Tesio, iper mercuriano lo è stato in precedenza) magari proprio perché il suo back ground comprendeva la militanza anche tra gli ostacoli. Vincent O’Brien ha compreso prima di tutti gli altri ciò che stava maturando nel turf mondiale, lo ha letto ed ha agito di conseguenza. Per farvi capire: un immenso come Henry Cecil è stato e sempre sarà il punto più alto della concezione apollinea applicata al turf. Lo dimostra la sua meravigliosa storia ma nella lettura che si farà a posteriori, tra 30 anni, delle vicende della seconda metà del 900 non si potrà fare a meno di cogliere  in O’Brien  il vero precursore del turf moderno. Nella seconda metà degli anni '60 Mellon, Enghelart e Guest furono le punte dell’iceberg della grande sfida americana ( come spiegato da Servan Schreiber nel '69 nel libro edito da Longanesi con prefazione di Ugo La Malfa) che oltre che nell’economia e nella politica generale che si andava globalizzando  l’America portò nel turf.  Gli americani vennero  a correre in Europa  accettando le regole  del turf europeo, lo conquistarono e i nomi di Nijinsky, Mill Reef e Gyr tanto per citarne alcuni  testimoniano il cambio  di strategia che in pochi anni  ha reso il turf europeo dipendente economicamente  da quello Usa perché i mezzi di produzione  erano tutti o quasi li o di proprietà. Restavano a noi i teatri, ovvero  la cultura che ancora oggi è il baluardo alle conseguenze di una globalizzazione che altrimenti ci avrebbe cancellato. Gli Arabi sono arrivati con dieci anni di ritardo sulla tabella ma non hanno cambiato le regole, semplicemente  le hanno utilizzate in maniera completamente globale. La vera grande sfida è stata quella americana, nel galoppo. Mentre noi  ragazzi impazzivamo ignari studiando le linee di Crepello, di Djebel, di Hyperion, del Nearco inutile, quello europeo, gli americani conquistavano il mondo del turf avendo creato le uniche linee che di li a poco avrebbero dominato  ovvero quella dei Narsullah americani e ovviamente quella di Northern Dancer. Ebbene, Vincent O’Brien, genio universale, non soltanto intuì cosa stava accadendo ma lo cavalcò e si propose anche, prima di organizzare  una difesa  europea, come terminale   degli interessi Usa nel continente , Nijinsky ne è esempio fulgido. Non solo, Vincent comprese subito, ecco il vero genio, che Northern Dancer avrebbe cambiato lo sviluppo del turf, fino alla paradossale affermazione …. “Esistono due tipi di cavalli al galoppo: i purosangue e i figli di Northern Dancer”. Qui sta la sua grandezza oltre al fatto di esserne stato il più grande allenatore (dei figli di quello stallone). Le basi della difesa europea del turf le ha messe lui, ovviamente poi, insieme ai suoi partner, ha dovuto agire a tutto campo, in maniera globale  ma la sua genialità, (mentre una certa ippica , noi per esempio, si beava di Brigadier Gerard come del potenziale stallone capace di mutazione) è stata proprio quella di capire , di avvertire che il turf stava cambiando pelle e ha cavalcato questo cambiamento (il fatto di scegliere Piggott  sta a significare che per una sfida del genere dovevi avere il meglio del meglio). Cosi sono arrivate le lezioni di Sir Ivor, Nijinsky, Alleged, Roberto, The Minstrel insomma di tutti i campioni maschi e femmine, compreso Sadler's Wells, Caerleon, che citando a memoria non possiamo certo esaurire in un elenco. Non sono le vittorie (tutte) che simboleggiano la sua grandezza ma le scelte strategiche e culturali : il turf moderno è figlio di Vincent O’Brien e della sua genialità. Ecco perché in fondo non sarebbe stato giusto  profanare la triplice corona di Nijinsky.
Mario Berardelli

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